sabato 29 agosto 2009

Ultime notizie dalla famiglia



Ci son quelli che vengono schiantati dal dolore.
Quelli che diventano pensosi.
Quelli che parlano del più e del meno, neanche del morto, di piccole cose domestiche, ci sono quelli che dopo si suicideranno e non glielo si vede in faccia, ci sono quelli che piangono molto e cicatrizzano in fretta e ci sono quelli che annegano nelle lacrime che versano.
Ci sono quelli che sono contenti, sbarazzati da qualcuno, ci sono quelli che non riescono più a vedere il morto, tentano, ma non ce la fanno, il morto ha portato con sé la propria immagine, ci sono quelli che vedono il morto ovunque, vorrebbero cancellarlo, vendono i suoi tre stracci, bruciano le sue foto, traslocano, ci riprovano con un vivo, ma niente da fare, il morto è sempre lì, nel retrovisore.
Ci sono quelli che fanno il pic-nic al cimitero e quelli che lo evitano perché hanno una tomba scavata nella testa.
Ci sono quelli che non mangiano più, ci sono quelli che bevono, quelli che si domandano se il loro dolore è autentico o costruito.
Ci sono quelli che si ammazzano di lavoro e quelli che finalmente si prendono una vacanza.
Ci sono quelli che trovano la morte scandalosa e quelli che la trovano naturale con-l’età-per-cui, circostanze-che-fanno-sì-che, è la guerra, è la malattia, è la moto, la macchina, l’epoca, la vita,


ci sono quelli che trovano che la morte sia la vita.

E ci sono quelli che fanno una cosa qualsiasi.

Che si mettono a correre,

per esempio.


Prendete un Malaussène, fategli del male, lui corre.
Corre, Malaussène, e non si capisce chi potrebbe correre più in fretta, far girare il mondo sotto i piedi, se non, forse, un altro Malaussène, un altro dolore in movimento, e a conti fatti devono essere tanti, questi corridoi afflitti, a giudicare dalla rotazione della terra.
Corri Malaussène, la terra è rotonda e non c’è risposta, ci sono solo gli esseri umani, l’unica risposta si chiama Julie, c’è solo Julie, Julie all’ospedale, Julie con la pancia vuota, Julie da riportare a casa, e da quando in qua uno ha bisogno di risposte mentre corre verso Julie?
Anche colui che corre verso la donna amata, colui che corre verso il grande amore, fa girare il mondo!


esplosione

"L'amore, sempre l'amore, quanto rompi con questo amore, Benjamin!"

ha sbraitato Julie.
"Roba da farmi venir voglia di ricominciare con le scopate fini a se stesse."
"..."
"Il mondo secondo Malaussène? Con amore o senza amore! Non c'è alternativa! Il dovere dell'amore! L'obbligo della felicità! La garanzia-gioia! L'altro nel bianco degli occhi! Un universo di pesci lessi!
ti amo, mi ami...

Ma che ce ne facciamo di tutto questo amooore?
Che nausea!"
"..."
"Da dove ti viene questa religione dell'amore. Benjamin? Dove te lo sei beccato questo vaiolo rosa? Cuoricini che puzzano di melassa! Quello che tu chiami amore nella migliore delle ipotesi sono semplici voglie! Nella peggiore, abitudini! In entrambi i casi, una messinscena!
Dall'impostura della seduzione fino alle bugie della rottura passando per i rimpianti inespressi e i rimorsi inconfessabili, solo parti da caratterista!
Nient'altro che fifa, intrallazzi, trucchi, eccolo qua il grande amore! Una sporca gabola per dimenticare chi siamo! E riapparecchiare il tavolo tutti i giorni!
Quanto rompi, Malaussène, con l'amore! Cambiati gli occhi! Apri la finestra! Comprati un televisore! Leggi il giornale! Impara la statistica! Entra in politica! Lavora! E poi ne riparliamo del grande amore!"

Fa un lungo respiro.

Poi dice:
"Scusami".
"Non è niente."
"E' passato."
Ripete:
"Scusami".

[...]

Si perchè la felicità, la felicità... non c' è mica solo la felicità nella vita, c' è la vita!
A nascere son buoni tutti...
Persino io sono nato!
Ma poi bisogna divenire! Divenire! Crescere, aumentare, svilupparsi, ingrossare...
(senza gonfiare),
accettare i mutamenti (ma non le mutazioni),
maturare (senza avvizzire),
evolvere (e valutare),
progredire (senza rimbambire),
durare (senza vegetare),
invecchiare (senza troppo ringiovanire),
e morire senza protestare, per finire!
Un programma enorme! Una vigilanza continua...
Perchè a ogni età l' età si ribella contro l' età, sai!
...
E se fosse solo questione di età...
...
Ma c' è anche il contesto!
...
E il contesto, piccino...

martedì 25 agosto 2009

Castelli di Rabbia


Gli erano entrate negli occhi, quelle due immagini, come l' istantanea percezione di una felicità assoluta e incondizionata. Se le sarebbe portate dietro per sempre.
Perchè è così che ti frega, la vita.
Ti piglia quando hai ancora l' anima addormentata e ti semina dentro un' immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più.
E quella lì era la felicità.
Lo scopri dopo, quando è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell' immagine, da quel suono, da quell' odore.
Alla deriva.

(...)

- Voi non venite qui a cantare una nota qualunque. Voi venite qui a cantare la
vostra nota. Non è una cosa da niente: è una cosa bellissima. Avere una nota, dico: una nota tutta per sè. Riconoscerla, fra mille, e portarsela dietro, dentro e addosso. Potete anche non crederci, ma io vi dico che lei respira quando voi respirate, vi aspetta quando dormite, vi segue dovunque andiate e giuro non vi mollerà fino a che non vi deciderete a crepare, e allora creperà con voi.
Potete anche fare finta di niente, potete venire qui e dirmi, caro Pekisch mi spiace ma non credo di avere proprio nessuna nota dentro, e andarvene, semplicemente andarvene...
ma la verità è che quella nota c' è... c' è ma voi non la volete ascoltare.
E questo è idiota, è un capolavoro di idiozia, davvero, un' idiozia da rimanere di stucco.
Uno ha una nota, che è sua, e se la lascia marcire dentro... no... statemi a sentire...
anche se la vita fa un rumore d' inferno affilatevi le orecchie fino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, non lasciatevela scappare più.
Portatela con voi, ripetetevela quando lavorate, cantatevela nella testa, lasciate che vi suoni nelle orecchie, e sotto la lingua e nella punta delle dita. E magari anche nei piedi, si, così chissà che non riusciate ad arrivare una volta puntuali, che non è possibile iniziare sempre con mezz' ora di ritardo, ogni venerdì, in ritardo, lo dico anche per lei, signor Potter, anzi soprattutto per lei, con tutto il rispetto, ma non ho mai visto entrare il suo sol da quella porta prima delle otto e mezzo, mai, mi possono essere testimoni tutti: mai.

(...)

- Dì, Pekisch...
- Mmmh...
- Tu ce l' hai una nota, vero?
Silenzio.
- Pekisch...
Silenzio.
Perchè, a dire tutto il vero, non ce l' aveva una sua nota Pekisch.
Incominciava a diventare vecchio, suonava mille strumenti, ne aveva inventati altrettanti, aveva la testa che frullava di suoni infiniti, sapeva vedere il suono, che non è la stessa cosa di sentirlo, sapeva di che colore erano i rumori, uno per uno, sentiva suonare anche un sasso immobile -
ma una sua nota, lui, non l' aveva.
Non era una storia semplice.
Aveva troppe note dentro per trovare la sua.
E' difficile da spiegare. Era così, e basta.
Se l' era ingoiata l' infinito, quella nota, come il mare può ingoiarsi una lacrima.
Hai un bel provare a ripescarla... puoi starci anche una vita.
La vita di Pekisch.

(...)

"... come sarebbe a dire '
per caso'?... tu credi davvero che ci sia qualcosa che succede 'per caso'?
Io dovrei credere che questa mia gamba stritolata è un caso? o la mia fattoria, e la vista che c' era, e quel sentiero... o quello che sento la notte, invece di dormire, tutta la notte...
è giù da quel sentiero che se n' è andata, Mary...
non ne poteva più, e un giorno se n' è andata via...
ha preso quel sentiero e se n' è andata...
non ne poteva più di me, s' intende...
una vita impossibile e... dovrei consolarmi e credere che sia stato 'per caso' che io sono diventato impossibile e che Mary era bella...
non bellissima, ma bella si...
quando ballava, alle feste, e sorrideva, gli uomini pensavano che era bella...
pensavano così...
ma io sono diventato impossibile, questa è la verità... me ne sono accorto, giorno per giorno, ma non c' era niente da fare... mi è salito su dalla gamba e a poco a poco mi ha marcito dentro... io sono convinto che tutto è cominciato con la storia della gamba...
prima non ero così...
sapevo vivere, prima, ma poi... non ce l ' ho fatta più... dovrei odiarmi per questo?
Così doveva andare e così è andata... e basta... un pò come quella storia lì... anche lì uno potrebbe dire ' è il caso', ma cosa vuol dire?
vuol dir qualcosa?"

venerdì 21 agosto 2009

Oceano Mare



Posa la penna, piega il foglio, lo infila in una busta. Si alza, prende dal suo baule una scatola di mogano, solleva il coperchio, ci lascia cadere dentro la lettera, aperta e senza indirizzo.
Nella scatola ci sono centinaia di buste uguali. Aperte e senza indirizzo.
Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle
- Ti aspettavo.
Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni - i giorni, gli istanti - che quell' uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell' uomo
- Tu sei matto.

E per sempre lo amerà.

(...)

Ancora adesso, nelle terre di Carewall, tutti raccontano quel viaggio. Ognuno a modo suo. Tutti senza averlo mai visto.
Ma non importa. Non smetteranno mai di raccontarlo.
Perchè nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume per noi. E qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume - immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio.
Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.
E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare.
Farsi ferire, anche.
Morirne.
Non importa.
Ma tutto sarebbe, finalmente, umano.
Basterebbe la fantasia di qualcuno - un padre, un amore, qualcuno.
Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella.

Una strada da qui al mare.

(...)

Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così... Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisogna andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l' onestà, essere buoni, essere giusti.
No.
Sono i desideri che salvano.
Sono l' unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l' ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E lì che salta tutto, non c' è verso di scappare, più ti agiti più ti si ingarbuglia la rete, più ti ribelli, più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare.

(...)

Io non so.
Se avessi una vita davanti a me - io che sto per morire - la passerei a raccontare questa storia, senza smettere mei, mille volte, per capire cosa vuol dire che la verità si concede solo all' orrore, e che per raggiungerla abbiamo dovuto passare da questo inferno, per vederla abbiamo dovuto distruggerci l' un l' altro, per averla abbiamo dovuto diventare belve feroci, per stanarla abbiamo dovuto spezzarci di dolore. E per essere veri abbiamo dovuto morire. Perchè? Perchè le cose diventano vere solo nella morte della disperazione? Chi ha rigirato il mondo in questo modo, che la verità deve stare nel lato oscuro, e l' inconfessabile palude di un' umanità reietta è l' unica schifosa terra in cui cresce ciò che, solo, non è menzogna? E alla fine: che verità è mai questa, che puzza di cadavere, e cresce nel sangue, si nutre di dolore, e vive dove l' uomo si umilia, e trionfa dove l' uomo marcisce? E' la verità di chi? E' una verità per noi?
Là sulla riva, in quegli inverni, io immaginavo una verità che era quiete, era grembo, era sollievo, e clemenza, e dolcezza. Era una verità fatta per noi. Che noi aspettava, e su di noi si sarebbe chinata, come una madre ritrovata. Ma qui, nel ventre del mare, ho visto la verità fare il suo nido, meticolosa e perfetta: e quel che ho visto è un uccello rapace, magnifico in volo, e feroce.
Io non so.
Non era questo che sognavo, d' inverno, quando sognavo questo.





martedì 18 agosto 2009

La solitudine dei numeri primi



"Dicono che sei un genio."
Mattia si risucchiò le guance e poi ci piantò dentro i denti, finchè non sentì il sapore metallico del sangue riempirgli la bocca.
"Ma ti piace davvero studiare?"
Mattia annuì.
"E perchè?"
"E' l' unica cosa che so fare" disse lui, piano. Avrebbe voluto dirle che studiare gli piaceva perchè puoi farlo da solo, perchè tutte le cose che studi sono già morte, fredde e masticate. Avrebbe voluto dirle che le pagine dei libri di scuola hanno tutte la stessa temperatura, che ti lasciano il tempo di scegliere, che non fanno mai male e tu non puoi far loro del male.
Ma rimase in silenzio.

(...)

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi.
Se ne stanno al loro posto nell' infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Il secondo pensiero lo sfiorava soprattutto di sera, nell' intrecciarsi caotico di immagini che precede il sonno, quando la mente è troppo debole per raccontarsi delle bugie.
In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l' 11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli.Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l' uno all' altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finchè non li si scopre.
Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.
A lei non l' aveva mai detto.

(...)

Per la prima volta Mattia si vergognò di avere ventidue anni ed essere ancora senza patente.
Era un' altra delle cose che si era lasciato indietro, un altro passo ovvio nella vita di un ragazzo che lui aveva scelto di non compiere, per tenersi il più possibile al di fuori dell' ingranaggio della vita.
Come mangiare i pop-corn al cinema, come sedersi sullo schienale di una panchina, come non rispettare il coprifuoco dei genitori, come giocare a calcio con una pallina di stagnola arrotolata o stare in piedi, nudo, di fronte a una ragazza.
Pensò che da quel preciso istante sarebbe stato diverso.
Decise che avrebbe preso la patente al più presto. L' avrebbe fatto per lei, per portarla in giro.
Perchè aveva paura ad ammetterlo, ma quando era con lei sembrava che valesse la pena di fare tutte le cose normali che le persone normali fanno.

(...)

Ci si può ammalare anche solo di un ricordo e lei era ammalata di quel pomeriggio nella macchina, di fronte al parco, quando con il proprio viso aveva coperto il suo per togliergli da davanti il luogo di quell' orrore.
Poteva sforzarsi, ma da tutti gli anni passati insieme a Fabio non riusciva a estrarre neppure un' immagine che le schiacciasse il cuore così forte, che avesse la stessa impetuosa violenza nei colori e che lei riuscisse ancora a sentire sulla pelle e alla radice dei capelli e tra le gambe. E' vero, c' era stata quella volta a cena da Riccardo e sua moglie, in cui avevano riso e bevuto molto e mentre aiutava Alessandra a lavare i piatti, si era tagliata il polpastrello del pollice con un bicchiere, che le era andato in frantumi tra le mani, e lasciandolo cadere aveva detto ahi. Non l' aveva detto forte, l' aveva appena sussurrato, ma Fabio aveva sentito ed era accorso. Le aveva esaminato il pollice sotto la luce, chinandosi se l' era avvicinato alle labbra e aveva succhiato un pò del sangue, per farlo smettere, come se fosse stato il suo. Con il pollice in bocca l' aveva guardata dal basso, con quegli occhi trasparenti che Alice non sapeva sostenere. Poi aveva chiuso la ferita nella sua mano e aveva baciato Alice sulla bocca. Lei aveva sentito nella sua saliva il sapore del proprio sangue e si era immaginata che fosse circolato in tutto il corpo di suo marito per tornare di nuovo a lei, pulito, come in una dialisi.

C' era stata quella volta e ce n' erano state infinite altre, che Alice non ricordava più, perchè l' amore di chi non amiamo si deposita sulla superficie e da lì evapora in fretta.

(...)

Sentì la circolazione riattivarsi. Ora doveva ragionare, su quel bacio e su cosa lui era venuto a cercare dopo tutto quel tempo. Sul perchè si fosse preparato a ricevere le labbra di Alice e sul perchè poi avesse sentito il bisogno di staccarsene e di nascondersi qui. Lei era nell' altra stanza e lo aspettava. A separarli c' erano due file di mattoni, pochi centimetri di intonaco e nove anni di silenzio. La verità era che ancora una volta lei aveva agito al posto suo, l' aveva costretto a tornare quando lui stesso aveva sempre desiderato farlo. Gli aveva scritto un biglietto e gli aveva detto vieni qui e lui era saltato su come una molla. Una lettera li aveva riuniti così come un' altra lettera li aveva separati.

Mattia lo sapeva cosa c' era da fare. Doveva andare di là e sedersi di nuovo su quel divano, doveva prenderle una mano e dirle non dovevo partire. Doveva baciarla un' altra volta e poi ancora, finchè si sarebbero abituati a quel gesto al punto di non poterne più fare a meno. Succedeva nei film e succedeva nella realtà, tutti i giorni. La gente si prendeva quello che voleva, si aggrappava alle coincidenze, quelle poche, e ci tirava su un' esistenza. Doveva dire ad Alice sono qui oppure andare via, prendere il primo volo e sparire di nuovo, tornare nel luogo in cui era rimasto sospeso per tutti quegli anni.

Ormai l' aveva imparato. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.

(...)

C' era stato un tempo in cui, seduto sul letto insieme ad Alice, poteva percorrere la stanza di lei con lo sguardo, individuare qualcosa su uno scaffale e dirsi gliel' ho comprato io. Quei regali erano lì a testimoniare un percorso, come bandierine appuntate alle tappe di un viaggio. Segnavano il ritmo cadenzato dei Natali e dei compleannil. Alcuni riusciva ancora a ricordarli: il primo disco dei Counting Crows, un termometro di Galileo, con le sue ampolle variopinte e fluttuanti di un liquido trasparente, e un libro di storia della matematica, che Alice aveva accolto con uno sbuffo ma che alla fine aveva letto. Lei li conservava con cura, trovando loro una posizione evidente, perchè a lui fosse chiaro che li aveva sempre sotto gli occhi. Mattia lo sapeva. Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov' era. Come se, abbandonandosi al richiamo di Alice, potesse ritrovarsi in trappola, annegarci dentro e perdersi per sempre. Era rimasto impassibile e in silenzio, ad aspettare che fosse troppo tardi.

(...)

L' aereo viaggiò in piena notte e le poche persone insonni che lo notarono da terra non videro che un piccolo ammasso di luci intermittenti, come una costellazione itinerante contro il cielo nero e fisso. Nessuna di loro sollevò una mano per salutarlo, perchè quelle erano cose da bambini.