martedì 18 agosto 2009

La solitudine dei numeri primi



"Dicono che sei un genio."
Mattia si risucchiò le guance e poi ci piantò dentro i denti, finchè non sentì il sapore metallico del sangue riempirgli la bocca.
"Ma ti piace davvero studiare?"
Mattia annuì.
"E perchè?"
"E' l' unica cosa che so fare" disse lui, piano. Avrebbe voluto dirle che studiare gli piaceva perchè puoi farlo da solo, perchè tutte le cose che studi sono già morte, fredde e masticate. Avrebbe voluto dirle che le pagine dei libri di scuola hanno tutte la stessa temperatura, che ti lasciano il tempo di scegliere, che non fanno mai male e tu non puoi far loro del male.
Ma rimase in silenzio.

(...)

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi.
Se ne stanno al loro posto nell' infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Il secondo pensiero lo sfiorava soprattutto di sera, nell' intrecciarsi caotico di immagini che precede il sonno, quando la mente è troppo debole per raccontarsi delle bugie.
In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l' 11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli.Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l' uno all' altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finchè non li si scopre.
Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero.
A lei non l' aveva mai detto.

(...)

Per la prima volta Mattia si vergognò di avere ventidue anni ed essere ancora senza patente.
Era un' altra delle cose che si era lasciato indietro, un altro passo ovvio nella vita di un ragazzo che lui aveva scelto di non compiere, per tenersi il più possibile al di fuori dell' ingranaggio della vita.
Come mangiare i pop-corn al cinema, come sedersi sullo schienale di una panchina, come non rispettare il coprifuoco dei genitori, come giocare a calcio con una pallina di stagnola arrotolata o stare in piedi, nudo, di fronte a una ragazza.
Pensò che da quel preciso istante sarebbe stato diverso.
Decise che avrebbe preso la patente al più presto. L' avrebbe fatto per lei, per portarla in giro.
Perchè aveva paura ad ammetterlo, ma quando era con lei sembrava che valesse la pena di fare tutte le cose normali che le persone normali fanno.

(...)

Ci si può ammalare anche solo di un ricordo e lei era ammalata di quel pomeriggio nella macchina, di fronte al parco, quando con il proprio viso aveva coperto il suo per togliergli da davanti il luogo di quell' orrore.
Poteva sforzarsi, ma da tutti gli anni passati insieme a Fabio non riusciva a estrarre neppure un' immagine che le schiacciasse il cuore così forte, che avesse la stessa impetuosa violenza nei colori e che lei riuscisse ancora a sentire sulla pelle e alla radice dei capelli e tra le gambe. E' vero, c' era stata quella volta a cena da Riccardo e sua moglie, in cui avevano riso e bevuto molto e mentre aiutava Alessandra a lavare i piatti, si era tagliata il polpastrello del pollice con un bicchiere, che le era andato in frantumi tra le mani, e lasciandolo cadere aveva detto ahi. Non l' aveva detto forte, l' aveva appena sussurrato, ma Fabio aveva sentito ed era accorso. Le aveva esaminato il pollice sotto la luce, chinandosi se l' era avvicinato alle labbra e aveva succhiato un pò del sangue, per farlo smettere, come se fosse stato il suo. Con il pollice in bocca l' aveva guardata dal basso, con quegli occhi trasparenti che Alice non sapeva sostenere. Poi aveva chiuso la ferita nella sua mano e aveva baciato Alice sulla bocca. Lei aveva sentito nella sua saliva il sapore del proprio sangue e si era immaginata che fosse circolato in tutto il corpo di suo marito per tornare di nuovo a lei, pulito, come in una dialisi.

C' era stata quella volta e ce n' erano state infinite altre, che Alice non ricordava più, perchè l' amore di chi non amiamo si deposita sulla superficie e da lì evapora in fretta.

(...)

Sentì la circolazione riattivarsi. Ora doveva ragionare, su quel bacio e su cosa lui era venuto a cercare dopo tutto quel tempo. Sul perchè si fosse preparato a ricevere le labbra di Alice e sul perchè poi avesse sentito il bisogno di staccarsene e di nascondersi qui. Lei era nell' altra stanza e lo aspettava. A separarli c' erano due file di mattoni, pochi centimetri di intonaco e nove anni di silenzio. La verità era che ancora una volta lei aveva agito al posto suo, l' aveva costretto a tornare quando lui stesso aveva sempre desiderato farlo. Gli aveva scritto un biglietto e gli aveva detto vieni qui e lui era saltato su come una molla. Una lettera li aveva riuniti così come un' altra lettera li aveva separati.

Mattia lo sapeva cosa c' era da fare. Doveva andare di là e sedersi di nuovo su quel divano, doveva prenderle una mano e dirle non dovevo partire. Doveva baciarla un' altra volta e poi ancora, finchè si sarebbero abituati a quel gesto al punto di non poterne più fare a meno. Succedeva nei film e succedeva nella realtà, tutti i giorni. La gente si prendeva quello che voleva, si aggrappava alle coincidenze, quelle poche, e ci tirava su un' esistenza. Doveva dire ad Alice sono qui oppure andare via, prendere il primo volo e sparire di nuovo, tornare nel luogo in cui era rimasto sospeso per tutti quegli anni.

Ormai l' aveva imparato. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.

(...)

C' era stato un tempo in cui, seduto sul letto insieme ad Alice, poteva percorrere la stanza di lei con lo sguardo, individuare qualcosa su uno scaffale e dirsi gliel' ho comprato io. Quei regali erano lì a testimoniare un percorso, come bandierine appuntate alle tappe di un viaggio. Segnavano il ritmo cadenzato dei Natali e dei compleannil. Alcuni riusciva ancora a ricordarli: il primo disco dei Counting Crows, un termometro di Galileo, con le sue ampolle variopinte e fluttuanti di un liquido trasparente, e un libro di storia della matematica, che Alice aveva accolto con uno sbuffo ma che alla fine aveva letto. Lei li conservava con cura, trovando loro una posizione evidente, perchè a lui fosse chiaro che li aveva sempre sotto gli occhi. Mattia lo sapeva. Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov' era. Come se, abbandonandosi al richiamo di Alice, potesse ritrovarsi in trappola, annegarci dentro e perdersi per sempre. Era rimasto impassibile e in silenzio, ad aspettare che fosse troppo tardi.

(...)

L' aereo viaggiò in piena notte e le poche persone insonni che lo notarono da terra non videro che un piccolo ammasso di luci intermittenti, come una costellazione itinerante contro il cielo nero e fisso. Nessuna di loro sollevò una mano per salutarlo, perchè quelle erano cose da bambini.



Nessun commento:

Posta un commento